domenica 30 settembre 2012

"Storia notturna: una decifrazione del sabba", di Carlo Ginzburg

   Storia notturna è un libro che è stato più volte criticato, tanto che Ginzburg si è visto piombare addosso non poche accuse di "Murrayismo" dai suoi colleghi accademici. Il motivo sta nel fatto che Ginzburg, nel tentare di decifrare il ritratto del sabba, vede negli studi della Murray (precisamente il famoso The Witch-Cult in Western Europe) un nocciolo di verità. In realtà, Ginzburg è ben lontano dall'essere un murrayano, visto che critica giustamente il metodo lavorativo di questa. Quello che invece adotta, e sviluppa in quest'opera, è l'idea di prendere sul serio le confessioni delle streghe trovando un filo comune su cui non si fossero ancora incrostati i luoghi comuni del sabba nati a causa delle pressioni degli inquisitori.
   Ecco che emerge pian piano, grazie al meticoloso lavoro di documentazione, un doppio filone: da una parte abbiamo i cortei notturni a cui streghe e stregoni affermano di recarsi in sogno, capeggiati dalla figura di una misteriosa divinità femminile chiamata con diversi nomi (Abundia, Richella, Oriente, ma soprattutto Erodiade); dall'altra, abbiamo le processioni dei morti, che si scoprono essere collocate in precisi momenti temporali appunto legati al culto - o al timore - dei defunti.
   La dea notturna - spesso a capo della Caccia Selvaggia o del "gioco", dalla quale le streghe apprendono i segreti delle erbe e a alla quale rendevano omaggio, generalmente sempre dopo essersi recate al luogo del sabba a livello di "anima", separate dal corpo e a cavallo di animali, o trasformate loro stesse in animali - era un'entità presente a livello paneuropeo e oltre, i cui strascichi si intravedono ancora oggi in figure come quella della Befana. La processione dei morti era invece percepita in maniera fisica, e Ginzburg fa notare che queste "anime" non fossero altro che persone in carne e ossa mascherate da animali o da demoni, visti dagli spettatori esterni come e veri e propri spiriti.
   Questo ritratto del sabba e dei cortei di defunti è in realtà solo il punto di partenza del libro. Ginzburg, per nulla intimidito dalla comparazione, svela numerose connessioni tra questi voli notturni: dietro ai viaggi al seguito delle fate in Scozia, o delle donne di fuori in Sicilia, o di Perchta in ambiente germanico, c'è sempre un'esperienza di tipo estatico. Allargando ancora il campo verso le steppe eurasiatiche, capiamo che dietro a queste esperienze si nascondono dei rimasugli di sciamanesimo derivanti da epoche molto, molto remote. Ne emerge un ritratto affascinante di un Europa legata da fili che si sono intrecciati nello spazio e nel tempo in maniera indefinibile ma palese, in cui la riverenza verso i morti e il viaggio onirico verso il sabba cela la stessa matrice iniziatica: i viaggi astrali come "piccola morte", morte necessaria per accedere a un'iniziazione le cui origini sono ormai perse nel tempo.
   Ecco allora chiarirsi anche la natura dei vari partecipanti alle battaglie notturne per la fertilità, combattute da benandanti, da lupi mannari, da mazzeri, da kresniki: sono tutti personaggi situati in una posizione liminale, che per un motivo o per l'altro (essere nati con la camicia, essere ai margini della società, essere nati in periodi particolari) stanno nel mezzo, tra il mondo dei viventi e quello dei morti.
   Ginzburg non cerca di razionalizzare gli elementi emersi dalle sue ricerche: quello che gli interessa è andare alla ricerca delle radici folkloriche e mitologiche delle testimonianze sul sabba. Le conclusioni su quello che accadesse davvero a questi personaggi che entravano in estasi, sul motivo per cui i resoconti dei loro viaggi sono tutti così simili, spettano solo al lettore.
   Un libro illuminante, che non ha paura di gettare luce su un aspetto controverso della stregoneria, e che forse è destinato a rimanere uno dei più misteriosi. Consigliato a tutti, soprattutto a chi voglia scardinare concetti ormai inculcati a forza dalla wicca: le streghe della prima età moderna non veneravano alcuna divinità pagana, né Diana, né Afrodite, né Ecate, né tantomeno Aradia - questi solo alcuni nomi che sono stati attribuiti alla dea notturna dagli inquisitori incapaci di ricondurla a una figura a loro nota; le streghe partecipavano al sabba, in un modo o nell'altro, ma non si trattava di incontri di piacere in cui si "venerava la natura". Sotto tutte queste testimonianze si intravede un fondo oscuro, fatto di sacrificio, di morte e rinascita, un sostrato che va indietro fino ai tempi in cui l'uomo combatteva ogni giorno una battaglia per la sopravvivenza.

giovedì 27 settembre 2012

"L'antica stregoneria italiana", di Dragon Rouge

   "Quest'opera rappresenta il sogno di una vita, ovvero il tentativo di ricostruire un ritratto più fedelmente possibile all'originale di quella che un tempo fu l'antica stregoneria italiana."
   Questa frase del retro di copertina riassume l'obiettivo titanico che Dragon Rouge si è posto con questo libro. Le intenzioni possono sembrare buone, anzi ottime, peccato che subito dopo segua una dichiarazione molto meno felice: "Per riuscirci ho preferito documentarmi il meno possibile presso fonti scritte ufficiali, andando invece a scavare nella memoria storica delle tradizioni orali segretamente tramandate fino ai nostri giorni dagli ultimi Pupilli della Luna, ma anche utilizzando particolari pratiche medianiche.
   Ora, per un'opera che si ripropone di ricostruire tutta la stregoneria italiana, intento che nemmeno i più grandi antropologi hanno ancora portato a termine, è lecito quantomeno esigere che un autore adduca uno straccio di documentazione. Non mi interessa a quali fonti orali il signor Rouge abbia attinto – fonti a cui non fa nemmeno un accenno e che, alla luce di quanto riportato nel libro, appaiono alquanto discutibili – né mi interessa quanto siano potenti le sue capacità medianiche. Per un libro del genere una bibliografia concreta è fondamentale, e il solo fatto che l’autore stesso non abbia alcun ritegno ad ammettere di non essersi documentato suona come una dichiarazione di ciarlataneria. 
   I contenuti, quel poco che c’è, sono molto scarni: togliendo la pubblicità alla fine del libro, la biografia e varie pagine introduttive, ci restano un’ottantina di pagine scarse. Un po' pochine per un lavoro così vasto nelle intenzioni. 
   Dopo una premessa sull'etimologia della parola "strega" e sul significato della stregoneria, inizia una sezione sull'organizzazione della popolazione stregonesca in cui Rouge sembra essere stato influenzato dagli scritti della Murray (o meglio, che sembra aver copiato dagli scritti della Murray): come lei parla di una vera e propria società segreta che chiama Bonam Societatem, distribuita sul territorio in feudi in ognuno dei quali esisteva una congrega capeggiata da un Magister o una Magistra. Tredici feudi, poi, formano un dominio retto da un Re o una Regina delle streghe. Tutto molto bello e suggestivo, peccato che nulla ci impedisce di ritenere che sia frutto della fantasia del signor Rouge, o di una sua enfatizzata interpretazione di dati reali. 
   Altrettanto sgomento suscitano le sezioni successive, dedicate alle assemblee e ai sabba. L’autore fornisce come festività le quattro date tradizionali di tregenda, ma il suo ritratto del sabba si avvicina molto di più alle descrizioni date dai manuali dell’Inquisizione che a ciò che dovevano essere in realtà: troviamo qui il Re delle Streghe in veste di Dio incarnato, vestito di pelli d’animale e una testa o maschera di caprone a coprirgli il volto, pronto a ricevere gli omaggi dei suoi discepoli. Seguivano le danze, i banchetti, gli eventuali battesimi e matrimoni e, per finire, l'immancabile orgia. Anche qui, la ragionevole reazione a quanto scritto è un grande punto interrogativo. 
   Seguono delle parti sul volo magico e sul modo di operare della strega che, tutto sommato, riportano notizie attendibili e sono forse l'unica parte accettabile dell’opera. Il tono però ritorna ai livelli precedenti con un capitolo in cui Rouge si sbizzarrisce a fornire un elogio quasi delirante del ruolo della strega nella società, arrivando persino a sostenere che "di fronte alla strega si inchinarono per numerose ere dotti, nobili e potenti di ogni sorta e rango per elemosinare i suoi ambiti servigi" e che "alla strega si rivolgevano i più umili dei contadini come i più grandi dei re, ed essa spesso era convocata nei loro palazzi e, quale membro importante e rispettato delle loro corti, sedeva nelle loro assemblee." Affermazioni che mi fanno prudere le mani nel loro svilire una figura complessa che in un certo modo è sempre stata ai margini della società, sospesa tra la paura che essa suscita e l'effettiva utilità del ruolo che svolge.
   Sono tutte affermazioni che lasciano il tempo che trovano: l'impressione è che Rouge abbia semplicemente attinto da fonti più o meno note imbastendoci attorno delle vesti assolutamente romanzate. Il risultato è privo di fondamenta nel migliore nei casi, e imbarazzante e dilettantesco nel peggiore. 
   Si tratta di un libro che diffonde il pressapochismo e la disinformazione. Assolutamente sconsigliato ai neofiti e a chi vuole semplicemente conoscere qualcosa sulla stregoneria dal punto di vista antropologico: risulta infatti dannoso per chi cerca delle basi, per chi vuole impostare una metodologia di ricerca, per chi è facilmente abbindolabile.