giovedì 27 settembre 2012

"L'antica stregoneria italiana", di Dragon Rouge

   "Quest'opera rappresenta il sogno di una vita, ovvero il tentativo di ricostruire un ritratto più fedelmente possibile all'originale di quella che un tempo fu l'antica stregoneria italiana."
   Questa frase del retro di copertina riassume l'obiettivo titanico che Dragon Rouge si è posto con questo libro. Le intenzioni possono sembrare buone, anzi ottime, peccato che subito dopo segua una dichiarazione molto meno felice: "Per riuscirci ho preferito documentarmi il meno possibile presso fonti scritte ufficiali, andando invece a scavare nella memoria storica delle tradizioni orali segretamente tramandate fino ai nostri giorni dagli ultimi Pupilli della Luna, ma anche utilizzando particolari pratiche medianiche.
   Ora, per un'opera che si ripropone di ricostruire tutta la stregoneria italiana, intento che nemmeno i più grandi antropologi hanno ancora portato a termine, è lecito quantomeno esigere che un autore adduca uno straccio di documentazione. Non mi interessa a quali fonti orali il signor Rouge abbia attinto – fonti a cui non fa nemmeno un accenno e che, alla luce di quanto riportato nel libro, appaiono alquanto discutibili – né mi interessa quanto siano potenti le sue capacità medianiche. Per un libro del genere una bibliografia concreta è fondamentale, e il solo fatto che l’autore stesso non abbia alcun ritegno ad ammettere di non essersi documentato suona come una dichiarazione di ciarlataneria. 
   I contenuti, quel poco che c’è, sono molto scarni: togliendo la pubblicità alla fine del libro, la biografia e varie pagine introduttive, ci restano un’ottantina di pagine scarse. Un po' pochine per un lavoro così vasto nelle intenzioni. 
   Dopo una premessa sull'etimologia della parola "strega" e sul significato della stregoneria, inizia una sezione sull'organizzazione della popolazione stregonesca in cui Rouge sembra essere stato influenzato dagli scritti della Murray (o meglio, che sembra aver copiato dagli scritti della Murray): come lei parla di una vera e propria società segreta che chiama Bonam Societatem, distribuita sul territorio in feudi in ognuno dei quali esisteva una congrega capeggiata da un Magister o una Magistra. Tredici feudi, poi, formano un dominio retto da un Re o una Regina delle streghe. Tutto molto bello e suggestivo, peccato che nulla ci impedisce di ritenere che sia frutto della fantasia del signor Rouge, o di una sua enfatizzata interpretazione di dati reali. 
   Altrettanto sgomento suscitano le sezioni successive, dedicate alle assemblee e ai sabba. L’autore fornisce come festività le quattro date tradizionali di tregenda, ma il suo ritratto del sabba si avvicina molto di più alle descrizioni date dai manuali dell’Inquisizione che a ciò che dovevano essere in realtà: troviamo qui il Re delle Streghe in veste di Dio incarnato, vestito di pelli d’animale e una testa o maschera di caprone a coprirgli il volto, pronto a ricevere gli omaggi dei suoi discepoli. Seguivano le danze, i banchetti, gli eventuali battesimi e matrimoni e, per finire, l'immancabile orgia. Anche qui, la ragionevole reazione a quanto scritto è un grande punto interrogativo. 
   Seguono delle parti sul volo magico e sul modo di operare della strega che, tutto sommato, riportano notizie attendibili e sono forse l'unica parte accettabile dell’opera. Il tono però ritorna ai livelli precedenti con un capitolo in cui Rouge si sbizzarrisce a fornire un elogio quasi delirante del ruolo della strega nella società, arrivando persino a sostenere che "di fronte alla strega si inchinarono per numerose ere dotti, nobili e potenti di ogni sorta e rango per elemosinare i suoi ambiti servigi" e che "alla strega si rivolgevano i più umili dei contadini come i più grandi dei re, ed essa spesso era convocata nei loro palazzi e, quale membro importante e rispettato delle loro corti, sedeva nelle loro assemblee." Affermazioni che mi fanno prudere le mani nel loro svilire una figura complessa che in un certo modo è sempre stata ai margini della società, sospesa tra la paura che essa suscita e l'effettiva utilità del ruolo che svolge.
   Sono tutte affermazioni che lasciano il tempo che trovano: l'impressione è che Rouge abbia semplicemente attinto da fonti più o meno note imbastendoci attorno delle vesti assolutamente romanzate. Il risultato è privo di fondamenta nel migliore nei casi, e imbarazzante e dilettantesco nel peggiore. 
   Si tratta di un libro che diffonde il pressapochismo e la disinformazione. Assolutamente sconsigliato ai neofiti e a chi vuole semplicemente conoscere qualcosa sulla stregoneria dal punto di vista antropologico: risulta infatti dannoso per chi cerca delle basi, per chi vuole impostare una metodologia di ricerca, per chi è facilmente abbindolabile.

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